Volonté – L’uomo dai mille volti (2024) Un film di Francesco Zippel

Volonté – L’uomo dai mille volti (2024)

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“La risposta, amico mio, la sta portando il vento”, ripete Gian Maria al pubblico dello studio e al pubblico oltre lo schermo televisivo in ascolto. 

Nel 1967 Gian Maria Volonté interpreta “Blowin’ In The Wind” (1962) di Bob Dylan a “Diamoci del tu”, un programma televisivo condotto da Giorgio Gaber e Caterina Caselli.

Ed è lì che per alcuni spettatori che già conoscevano questo estratto, rivederlo ora trasformarsi in scia e accompagnamento del film di Francesco Zippel, quei fari – già una volta posizionati sul soffitto dello studio televisivo RAI – sembrano, adesso, assomigliare a delle stelle; e gli applausi, sul finale, a una vitalità senza tempo. Una vitalità che veleggia ancora oggi, attraverso il cinema, tra libertà e rivoluzione. 

“La risposta, amico mio, la sta portando il vento”, ripete Gian Maria al pubblico nello studio e al pubblico oltre lo schermo televisivo in ascolto.

Nel presente, dalla parte della lente autoriale del regista, c’è, nel frattempo, una volontà di raccontare qualcosa che senza i suoi film, quelli di Volonté, forse non si potrebbe dire, ma che va lo stesso oltre questi film, grazie alle testimonianze che li accompagnano, passando comunque attraverso di essi.

C’è un profondo rispetto della figura di attore di Volonté, ancor prima che di star, come suggerisce una delle voci e dei volti che si apprestano a rivivere il Gian Maria uomo e attore. È quella di Giovanna Gravina Volonté.

Le testimonianze proseguono nella visione su un doppio binario, incrociando chi ha vissuto Gian Maria anche nella quotidianità e chi ha avuto l’opportunità di collaborare con lui, sin dai primi passi in Accademia, oppure di chi lo ha sempre osservato attraverso lo schermo da quando ha memoria, come un affascinante giocattolo di cui si vorrebbe fare di tutto per scoprire come funziona, quale sia il suo segreto.

A quest’immagine donata dalle memorie di Fabrizio Gifuni, e altre simili di altri attori del panorama contemporaneo italiano, come Valerio Mastandrea e  Pier Francesco Favino, oppure del regista Marco Bellocchio, si affianca un racconto più intimo.

Un ritratto in movimento, a curare le preziose e sofferte ossessioni generate dal sentire di Gian Maria, che si rifanno ad esempio a quando Volonté preparava i suoi film. Era, in quel momento, “agli arresti domicialiari” – ricorda Giovanna Gravina Volonté, con un sorriso, ricordando il suo impegno, oppure sembrava “partorire il suo personaggio” racconta con sguardo luminoso Toni Servillo.

Questi due binari, però, non sembrano essere separati, si intrecciano invece continuamente in luoghi familiari o che si rivelano ben propensi ad accogliere e ad ascoltare le differenti testimonianze.

Alla cura dei dettagli e all’essenzialità coltivata dall’attore e a una Vela, si riporta in luce un passato di cui non si desidera parlare trovando un modo, al contempo, per non desiderare mettere da parte le proprie ferite.

Se chi soffre può ritrovarsi a introiettare diversamente quel che accade attorno a lui, come sembra valere per Gian Maria, Volonté effettua delle scelte. La rigorosa scelta dei suoi film non è affatto casuale. Si tratta di una scelta politica, perfettamente in sintonia con il suo modo di agire, si vedrà in una ritrovata parentesi di meta-cinema, e – ancor più empaticamente – di stare al mondo.

Non manca, inoltre, un accenno al perfezionismo, nella recitazione quanto nella Vela, e alla genialità, ad esempio, dimostrata da Volonté nell’invenzione di una lingua, di un dialetto. Di un siciliano di Gian Maria che, ad esempio, in Banditi a Milano (1968) di Carlo Lizzani risulta, per una delle testimonianze, irrintracciabile eppure profondamente credibile.

Lo stesso discorso vale per quest’opera cinematografica di ricostruzione, che funge da guida e da valorizzazione di un patrimonio immateriale che dialoga con le emozioni del pubblico, oltre che dei suoi personaggi. Un ritratto che segue Gian Maria film dopo film, ma che non manca di ricordare i sogni che spaventano e plasmano il cuore, che percepiscono segni, e lasciano anche sorridere di fronte alle pause, irripetibili e caratteristiche, specchio della mente di un potersi permettere anche un “non lo so” prima dell’attraversamento di un ponte.

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