Non è rabbia, quella che si manifesta nella voce di Benedetta Porcaroli nel Vangelo secondo Maria (2024), ma vita trasfigurata.
Questo non è un film sapientemente attuale perché è la storia della pellicola a volerlo essere, ma si presenta come tale perché è la realtà dell’oggi a renderlo amaro, seppur con un germoglio di duale speranza. Pungente a causa del suo crudo e delicato specchiarsi in quel che accadeva all’epoca dell’urlo di Maria, di una guerriera che ora veste di blu e di verde e che abita il corpo e lo sguardo di Benedetta Porcaroli in una Sarda Terra Santa.
Il confronto tra David e Golia, la sfida tra Maria e Dio e i suoi ciechi seguaci – invitano lo spettatore a entrare in medias res nel conflitto che muoverà l’azione non soltanto con una frase che apparirà sullo schermo nero nell’incipit, ma soprattutto dalla prima inquadratura di spalle e dal consecutivo primo piano di Maria che, facendo roteare la fionda, da uno sguardo assorto mostrerà uno sguardo preoccupato generato da un fischio alle sue spalle.
- A sessant’anni di distanza da Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini (1964), Maria vuole vedere non essere vista, lotta a piedi scalzi per assecondare il suo profondo desiderio di conoscenza nella trasposizione cinematografica del Vangelo secondo Maria, l’omonimo romanzo di Barbara Alberti pubblicato per la prima volta nel 1979.
- Dal controllo comportamentale e direzionale da parte di una madre ipervigile, si passa al primo incontro/scontro con Giuseppe (alias Alessandro Gassman). Giuseppe arriva subito, c’è parità; ma quando dal controllo domestico si inizia a percepire il timore della divina collera: sarà la stessa Maria a ripetere ancora: “chi arriva tardi al tempio la collera lo colpirà”.
- Dall’accoglienza che Maria riceve in una casa in cui non si sente a casa, tra ripetuti inviti a provare vergogna, innescati realisticamente da perpetrati meccanismi di controllo, si passa attraverso un’omelia che illumina l’esistenza di terre di dragoni volanti, di un sussurro che non è sussurro ma che risveglia il fascino e la curiosità per nuove terre possibili.
- Per nuove terre da esplorare anche nella notte e dapprima grazie a un segreto incontro d’amicizia che emerge letteralmente dalle acque del fiume. Da un flusso in cui scopriremo che Maria ha imparato il nome di nuove città e grazie al quale sente l’impulso di voler trasformare il suo non sapere, se solo trovasse un maestro di sapienza.
- Non è rabbia, quella che si manifesta nella voce di Maria, ma vita trasfigurata. Nel suo piano di scoperta sembra già di intuire una reazione, un’oralità come via di fuga che non dimenticherà le sue pazzie.
I fedeli al tempio restano in ascolto di uno spettacolino populista, di una farsa, non della vita trasfigurata.
Tutti ascoltano ma per tutti è spettacolo, per la Benedetta – invece – è reale scoperta, è il primo seme di rivalsa.
In espressivi tableaux vivants di costumi e suoni pasoliniani intervengono stavolta i colori e la musicalità di un dialetto sardo.
Mentre gli occhi e soltanto delle variazioni di respiro ci parlano del controllo si torna sulla riva del fiume, in difesa della chiave della scienza.
Lì una voce grintosa e scandita è tradita da un’ingenuità che rivela, nel suo desiderio di un sapere più profondo, la sua conoscenza delle Scritture a memoria. Il paragone tra un mulo e una donna rivela il primo nemico della conoscenza, quel pregiudizio radicato nell’imposizione, in una regola di cui non si conosce neppure la motivazione.
A questa cecità si contrappone uno sguardo aperto, di chi appena vedeva una nave partiva, ci saliva sopra, per poi tornare.
Grazie alla forza dei dialoghi, del film, il presente risponde al passato pur restando nel credibile presente di Maria e Giuseppe.
L’interno microcosmo di una migrata Nazareth reagisce alla loro vita vera e di cui apprendiamo i primi rigurgiti filtrati dalla voce ammonitrice di un proteta bambino.
Una litania appositamente disturbante cede il passo alla maledizione della legge degli uomini, ma attenzione, sulle rive del fiume: non è la collera di Jahvè quella che fa prostrare Maria, ma «l’umidità».
Al calar del sole, che si ripeterà simbolicamente nel quadro filmico per altre due volte, Maria sembra riecheggiare uno slang guadagninesco, ascoltiamo quindi la trasformazione di un a «dopo», in un a «domani».
In seguito alle premesse di un matrimonio a tinte horror, ribellione e via di fuga si scontrano entrambi interdetti sul mancato consenso. In una prima solitudine le donne comandano e lo spettatore può finalmente tirare un respiro di sollievo: il mondo è finalmente alla rovescia, ma non c’è nessuna farsa.
Prima di intraprendere il viaggio verso la città dei libri, Maria sarà libera, non prigioniera, si sentirà allieva e non sposa.
Lo scontro nella grotta (diversa dalla platonica caverna che seguirà) sembra delimitare il confine tra il mondo ordinario e il mondo straordinario. L’attraversamento della soglia al calar del sole sarà come tornare nell’Eden, ma dove la sua frutta si può mangiare. Lì, al sicuro, tra confini di tessuto azzurri, si può prendere nota, lasciare una traccia, della propria conoscenza.
Dopo un ruggente invito di Giuseppe a non perdere la calma, in vista di un viaggio che dovrà affrontare da sola, Maria vede risvegliarsi la sua passata preoccupazione, ma stavolta la paura si trasforma davvero, e senza sarcasmo, in una bella sorpresa.
Il Vangelo secondo Maria (2024) è uno di quei film che ti fa sentire diverso, anche se lo sei già, che ti cambia la percezione della realtà già all’uscita dalla sala alla fine del primo tempo, ed è forse proprio per questo che dovrebbe essere, non come da principio, da considerarsi riuscito.
Sonorità pasoliniane lasciano bruscamente spazio all’entrata in scena della seconda personificazione di Golia, per Maria, in chiave shakespeariana. Anche qui la forza dei dialoghi svela, con Maria in Mariamne e in pochi istanti, i fantasmi che tormentano misticamente un veggente Erode (alias un magnifico Maurizio Lombardi) e che, attraverso lo sguardo di Maria, come un implicito invito forse a impugnare il suo dorato specchio, lo condurranno alla sua fine.
Il tempo dell’insegnamento sta per concludersi, eppure un enigma sembra ancora insolubile nella platonica grotta del lóyos; di umane ombre e di sculture somiglianti al vero lanciate nel fuoco.
Ora le cicale nel silenzio sono presagio di un terremoto, del simbolico tutto nel fiume del cambiamento.
Ma tutto si ferma, invece, tranne le nuvole. Nuove ombre, già prestabilite, si proiettano e offuscano il desiderio di libertà e di sapienza fino al ritorno di una statua negli incubi di Maria, della preoccupazione, della paura.
Un ultimo tuffo. Dio potrà anche vedere lontano, ma non utilizzare una donna come un vaso.
Lascia un commento