Un film di Coralie Fargeat
Il corpo femminile è ormai plasmato dal male gaze. Il suo percorso estetico è destinato al deterioramento fisico, politico e orrorifico.
Non è spettrale come Lorraine Massey, la misteriosa donna di Shining, che ha pagato l’elisir di eterna giovinezza con la morte nel perimetro claustrofobico di una stanza d’albergo. Qui percepiamo, assaporiamo e tocchiamo la carne.
Tutte quelle attenzioni rivolte alle scene di nudo integrale, nelle riprese a figura intera o nei particolari, in situazioni sessualmente attrattive e moleste. Tutto quel cibo che viene inquadrato in maniera ravvicinata e raggiunge un elevato grado di perversione fino a sfociare in un controverso appetito (spettatoriale). Tutti gli aghi – chiare allusioni falliche – usati per iniezioni di sieri e drenaggi di sangue.
È un film di corridoi, inquadrati in grandangoli deformanti, a seconda dello stato d’animo e della prossemica comportamentale di chi lo attraversa, dalla star decaduta Elizabeth Sparkle al viscido produttore Harvey.
È un film ricco di citazioni rielaborate a favore di uno scenario horror che si addentra nella merceologia del concetto artistico e tocca tutte le contraddizioni ideologiche del singolo individuo. Quest’ultimo lotta all’interno del binomio di affermazione/negazione dell’essere, si lascia intridere e prosciugare nel pieno disorientamento lynchiano degli eventi, prende consapevolezza delle assunzioni di responsabilità in quanto entità autonoma.
Demi Moore/Margaret Quallay (da considerare un’unica personalità) non rispetta il patto degli equilibri e la sua scissione psichica si traduce in un contrasto generazionale dall’attuale valenza storico-temporale e simbolica.
Il vecchio e il nuovo prodotto corporeo trovano una “biunità” non catartica nell’azione drammaturgica, in una constatazione annunciata dalla regista. Avviene così un processo di spettacolarizzazione, sedimentato nella mente incarnata dello spettatore come un’alternanza bisognosa tra razionalità e emotività.
È un film che rispecchia la nostra solitudine nelle pratiche di consumatori, una narrazione che si lascia trasportare dell’illusione della morbidezza e dall’esplosione della consistenza. È un film che si consuma nelle divergenze rappresentative tra l’alto e il basso, tra la plongée e la contre-plongée.
È un film tesissimo di pungenti, graffianti e laceranti riverberi. È un film che ci avvisa del parallelismo tra libertà e autodistruzione. È un film di rottura in cui i due poli estremi dell’identità si annullano a vicenda.
È un film che insegue il body horror nelle sue tracce distopiche e nelle sue conclusioni oscene e ridicole, con un mito di Narciso in linea con l’agency della protagonista e un’esteriorizzazione espressionista dell’io e dello specchio.
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