Mentre si ricorda che il montaggio è scrittura, in Sbagliando s’inventa (2022) le parole che sovrastano l’immagine d’archivio sono come arcobaleni di un senso perduto, in bilico tra i bordi dell’inquadratura e non perfettamente centrate, come se fossero sulla costante soglia del mutamento.
· Così come accade da un certo momento in poi alla scrittura di Gianni Rodari, in Sbagliando s’inventa (2022) l’Uomo arriva a confondersi con qualcosa d’altro, con un bagaglio di ricordi e fantasia tanto inatteso e familiare quanto permeabile e totalmente disconnesso da lui. Rispondendo a una chiamata di cui però non è destinatario, Mario – l’uomo protagonista del film – si ritrova letteralmente ad abitare un flusso di parole, un binario parallelo che man mano che si procede nella visione altera il ritmo delle sue giornate e anima, con un respiro sempre meno impolverato e sempre più colorato, la sua solitudine.
· Le immagini, sostituendosi alla scrittura, filtrano inizialmente attraverso il medium (telefono) – così come (l’occhio che, come la camera, segue il flusso e s’inserisce in esso) attraverso i fili del telefono in Tre colori – Film rosso di Kieślowski (1994) – e arrivano alla mente dell’Uomo da un altro tempo. Viaggiando per un’altra destinazione, ancora sconosciuta, le parole riescono ad associare non solo due fili, ma anche due vite tendenzialmente distanti, non sovrapponibili, così come il passato e il presente dell’Uomo, che in questo caso, nel film di Alice Sagrati, si configurano – più precisamente – come l’infanzia e l’età adulta.
· Dall’evoluzione dell’idea iniziale del film, che la regista racconta in occasione del Festivalaccio, nasce l’idea di un uomo che viene scambiato per qualcun altro, svelando così l’emblema rappresentato da parole colorate che, come di fronte a uno scontro imprevisto, ricreano l’immagine stessa e sovraffollano lo schermo.
· Mentre si ricorda che il montaggio è scrittura, in Sbagliando s’inventa (2022) le parole che sovrastano l’immagine d’archivio sonocome arcobaleni di un senso perduto, in bilico tra i bordi dell’inquadratura e non perfettamente centrate, come se fossero sulla costante soglia del mutamento.
Testimonianze: Speciale Chuormo Festivalaccio – Festival di cortometraggi di riuso
MARCO – Cosa ci dici sulla scelta delle immagini.
ALICE – «In realtà questo è il mio primo corto d’archivio e finora l’ultimo. Ne farò qualcun altro, sicuramente più avanti. Però, in generale, io sono stata autorizzata dal Premio (Cesare) Zavattini. Avevo fatto qualche corto a livello scolastico, però non avevo mai fatto un rimontaggio d’archivio. Poi ho ricevuto il Premio, il Premio Zavattini che, comunque, è un premio che ti fa accedere a una sorta di scuola, a delle masterclass che ti insegnano come si fa il montaggio (che ti iniziano al montaggio). Anche perché io non avevo mai visto un archivio vero e proprio, quindi né andare in presenza in un archivio né in un archivio online, quindi (anche) come si cerca. Devi anche saper cercare. Ed è stato difficilissimo. Quindi piano piano impari anche a saper recintare la tua ricerca.»
MARCO – E come funziona (il Premio)?
ALICE – «Tu mandi un’idea. Scrivi una paginetta.»
MARCO – Un soggetto?
ALICE – «Esatto, ma anche un po’ meno. Io, ad esempio, avevo scritto: Mi piace Gianni Rodari. Lo sto rileggendo. Mi piacerebbe capire come si gioca con il linguaggio. Non ricordo se l’ho scritto prima o dopo la pandemia. Comunque diciamo che era un momento della liberazione, della liberazione post-Covid. Quindi io avevo messo in mezzo l’idea di far provare delle cose ai bambini in presenza, di far provare a loro delle cose, poi questo non è stato possibile, a causa della pandemia, e quindi abbiamo virato. Mi hanno detto: Per me è meno interessante che tu applichi la teoria di Rodari a livello pratico con i bambini, con le teorie psicopedagogiche, ma è interessante che tu, visto che scrivi, visto che questo è un caso di scrittura, mi hanno detto: Usa più le tecniche di scrittura e vedi un po’ come riesci a sperimentare.»
MARCO – Quindi hai scritto il racconto?
ALICE – «Sì, tranne la favola iniziale, che è una favola di Rodari, poi tutto il resto l’ho scritto io, perché – appunto – provavo a usare le sue regole, a ribaltare un po’ il senso delle parole.»
MARCO – E il montaggio?
ALICE – «L’ho montato io.»
MARCO – Ah, quindi tu hai fatto sia il montaggio che la scrittura.
ALICE – «Sì. Visto che doveva essere qualcosa come un’associazione libera, Surrealista, dovevo per forza farlo io. Dovevo stare davanti al computer e provare a guardare le cose e vedere cosa sono da fuori.»
Giada, che impressione ti ha fatto? Apriamo alle domande. Loro scrivono, Alessandro e Giada scrivono per Cine O’Rama.
ALESSANDRO: «Sì, analisi cinematografica indipendente.»
GIADA – «Molto, molto interessante… Io sono stata a un altro Festival di Riuso quindi, dal punto di vista delle fonti, immagino il lavoro che c’è stato dietro. Non è così immediato e sul perdersi sono d’accordo… E in realtà, infatti, l’ho trovato molto scorrevole. I raccordi, ad esempio… Insomma, era molto… Può capitare che sul riuso (si dica): Sono immagini preesistenti e quindi è più semplice. In realtà non è propriamente così. Mi ha affascinato e mi ha incuriosito, in realtà, proprio l’uso delle parole. Quando, appunto, tutte le parole quasi nascondono l’immagine, no? E secondo me si evince proprio questo interesse per la scrittura. Come se, dalla scrittura, passare alla scrittura per immagini, a un certo punto… »
ALICE – «Sovrastasse?»
GIADA – «Vorrei chiederti questo passaggio.»
ALICE – «Sì, perché in realtà io ero interessata (a questo). Perché con questo testo di Rodari, in questo saggetto lui racconta come si può creare questo binomio fantastico, che è una tecnica di scrittura in cui far incontrare due parole che non c’entrano niente a livello semantico (l’una con l’altra), e (mostra come) scontrandole si possono creare delle nuove forme. Però lui in questo testo lui dice: Questo è un inizio di studio di semantica per bambini, che alla fine è per bambini ma è (anche) per tutti e tutte, però potrebbe anche essere applicato anche ad altre arti, al teatro, al cinema, ecc. Ma effettivamente, anche studiandolo, ad esempio io ci ho lavorato molto, ci ho fatto la tesi magistrale sull’applicazione dell’idea di Rodari al cinema ed effettivamente poi non è stato più cercato ancora come quella tecnica può essere vista e non solo scritta. E quindi, in realtà, è nata un po’ questa idea di provare a individuare come quella parola può divenire immagine e come una tecnica del genere, per immagini, può effettivamente essere traslata oppure no. E ci sono tanti esempi, anche di tante favole per bambini, di Rodari, come La torta in cielo o La freccia azzurra, però delle volte, secondo me, tradiscono un po’ il testo, cioè diventano un po’, un po’ poco storielle liquide, come la scrittura di Rodari, che in realtà è molto più pazza. È stato molto addomesticato, secondo me, dalla storicizzazione.»
MARCO – «Come si crea questo accostamento?»
ALICE – «Binomio Fantastico. Quindi quando metti insieme due parole che non c’entrano niente a livello semantico. Quindi tipo Zucchina/Bottiglia, mettendole insieme esce qualcosa. Si faceva fare ai bambini quando andavano a scuola.»
MARCO – «Infatti questo mi ha ricordato quando andavo a scuola. Quando alle elementari c’erano quei cartelli in cui c’era la volpe, la parola e la maiuscola V. Cioè quando dalla creazione della tua mente tu devi iniziare a unire quello che tu vedi al segno e poi anche alla lettera. Mi ricorda questa parte qua della mia infanzia insomma… Grazie mille Alice.»
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