Nonostante (2024) Un film di Valerio Mastandrea

Nonostante (2024)

Avatar Giada Ciliberto

«Penso che l’imperfezione di un film sia una risorsa e non un difetto», Valerio Mastandrea su Nonostante (2024) durante la rassegna Da Venezia a Roma e nel Lazio.

Nella piacevole drammaticità della prima fila assistiamo alla proiezione in anteprima a Roma, da Venezia, di Nonostante (2024). Il secondo film che – dopo Ride (2018) – vede nuovamente Valerio Mastandrea cimentarsi nella regia. 

Sono trascorsi più di vent’anni da Tutti giù per terra (D. Ferrario; 1997) in cui Walter (alias Valerio) attraversava una Torino apparentemente senza bordi. 

Di quell’attraversamento però, che trasformò – negli anni – il film di Ferrario in uno dei “preferiti” di Mastandrea, almeno fra quelli interpretati da lui fino a oggi, in Nonostante (2024) ne resta soltanto un’eco connessa ai C.S.I. Una risonanza percepibile – quindi – grazie alla scelta delle musiche che, in quest’ultimo film, sembra rispecchiare qualcosa di molto personale per l’attore divenuto autore. 

Eppure se come sosteneva Carmelo Bene: «l’artefice non è mai autore d’una propria opera: è di per sé, semmai, un capolavoro vivente», Nonostante (2024) sembra far scomparire tale differenza tra autore e attore, lasciando che entrambi emozionino gli spettatori in sala grazie alla messa in scena di un quesito: come possa essere fluttuare in un limbo che appare anche, e a volte più o meno utopisticamente, molto simile al reale. I personaggi, infatti, abitano temporaneamente una dimensione liminale che è – al contempo – più metafora che vera diagnosi. 

Da Noi non ci saremo dei C.S.I. a Cosmic Dancer dei T. Rex si traghetta verso un problema metafisico. Al dilemma esistenziale si sovrappone il fantastico che contamina con leggerezza l’intera pellicola, la quale si tinge dei limiti della vita umana per raccontarli e infine per donare una speranza che vada ben oltre ogni possibile “record” di permanenza nella struttura ospedaliera. 

I primi germogli del film risalgono al marzo del 2020, quando – a causa del Covid – per gli ideatori del progetto sarebbe stato difficile perfino incontrarsi. La spinta creativa per portare a termine la sceneggiatura si evolse più tardi, in contemporanea alla possibilità di camminare nuovamente insieme per la città e continuare, dunque, la stesura.

Pur lasciando lo spettatore rimanere con i piedi per terra per gran parte del film, e concedendo a lui la possibilità di assistere anche a quello che potrebbe apparire come un estremo tentativo di infrangere dei limiti, rompendo – ad esempio – delle barriere, non solo fisiche, quando il vento diventa troppo forte, quel che conta, in Nonostante (2024), sembra stare soprattutto nel mezzo. Ovvero nel “come è possibile?”; nel saper riconoscere, in seguito allo stupore che questo quesito provoca, l’importanza di avere il coraggio di correre un rischio, in amore – ad esempio, di non subire la propria vita, di uscire dapprima inconsapevolmente e poi consapevolmente dalla propria rassicurante attitudine a stare seduti in una comfort zone.

Questa speranza, infatti, trova respiro nella scomodità. Nella ricerca del difficile. Nella “metafora di un salto mai fatto”, citando Mastandrea, che conduce – quindi – al risveglio. 

L’irrazionalità di un incontro inaspettato con la Lei del racconto – opposta a Lui per la sua istintiva tendenza al rifiuto della sua, qui, transitoria condizione – trasforma gradualmente la quotidianità del protagonista, ora dopo ora, nel limbo che sorprende gli spettatori. Ed è proprio per questo motivo che sarebbe meglio arrivare il più impreparati possibile su quello a cui si starà per assistere in sala.

Quella che può inoltre sembrare una cupezza iniziale si smorza, sin dall’inizio del film, grazie al suo protagonista, arrivando a rimanere nient’altro che un fastidioso ma indispensabile velo. Lui si affretta ad abitare agilmente lo spazio che circonda l’ospedale, luogo in cui si svolge buona parte del racconto. 

Il riflessivo annuncio delle “visite” del protagonista, ad esempio, nell’incipit, dona allo spettatore soltanto dei primi indizi su di Lui. Il quale si muove, in questo frangente, attraversando lo spazio in un piano sequenza che rivela in che modo è solito trascorrere il suo tempo in compagnia dei limitrofi abitanti delle corsie: partecipando, da assente, a lezioni di educazione fisica; sostando accanto a tutti coloro che non possono vederlo oppure perdendosi infine, talvolta, strappando – inevitabilmente – più di un sorriso allo spettatore.

“Gli altri”, che non sono in bilico tra la vita e la morte, non vedono chi, come Lui, abita quest’atmosfera liminale. Si tratta di un sottotesto reso magistralmente nel film grazie alla naturalezza dell’intimità racchiusa nelle interazioni tra i personaggi principali e il resto delle persone che, nella realtà del reparto o all’esterno dell’ospedale, non possono sentirli, come se – gli abitanti del limbo – fossero realmente in un mondo parallelo.

Solo il Volontario, tramite e portavoce ultimo della possibilità di infrangere le regole, conosce a fondo la loro condizione e può interagire con gli abitanti del limbo ventoso. 

Lui e Lei, nel frattempo, ricordano – per quel che riguarda la caratterizzazione dei personaggi – i pronomi utilizzati da Marguerite Duras e Alain Resnais in Hiroshima Mon Amour (1959), e quindi – ancor più esplicitamente – una metafora della loro condizione di stasi universalmente condivisibile.

Un altro esempio si rintraccia nell’introduzione di un altro personaggio: la Veterana, che è perno, del racconto, e primo sintomo della forza dei dialoghi che, tra gli abitanti di questo luogo liminale, traggono beneficio dalla risorsa, che germoglia a ritroso (pensando alla visione del film), della loro imperfezione. 

LUI – “Perché hai tradotto Proust senza che nessuno te lo chiedesse?”

VETERANA – “Perché sono cose che si fanno da giovane.”

A film concluso si comprende che l’invito di Lui al prossimo, a darsi pace, forza, “animo”, potrebbe non escludere – in se stesso – anche l’elemento del rischio. Se il paradosso di vivere come un lutto il risveglio è la prima porta d’accesso al timore di mettersi in gioco, oltre che sentimento specchio di una consapevole perdita di memoria condivisa o di un’amicizia in grado di sfidare la bufera per un ultimo saluto, l’incontro con Lei è il nonostante che mette al riparo dal luogo sicuro. Un limbo dapprima sorvegliato come unica consolazione e ora pronto, per la prima volta, a sconfinare, grazie – ad esempio – al rinnovarsi del pensiero del Volontario, per essere ripercorso sotto un’altra luce. 

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