Maria (2025) Un film di Pablo Larraín

Maria (2025)

Avatar Giada Ciliberto

La mia vita è l’opera e non c’è ragione nell’opera, afferma Angelina Jolie nei panni della Callas nel nuovo film – Maria (2025) – di Pablo Larraín.

Da Ave Maria a Casta Diva, e molto prima di poter ascoltare l’Intermezzo di Medea o Va, Pensiero, un filmato in bianco e nero, alternandosi a eleganti sfarfallii della pellicola a colori, introduce Maria – in primo piano – allo spettatore, ponendo sin da subito la narrazione a metà strada tra finzione, donata a partire da un’accurata ricostruzione storica, e sentire personale.

È reale? – quindi – non è soltanto un quesito rivolto, allo specchio, a Maria prima di un importante incontro, ma è anche quel che sembra precedere il non dichiarato ingresso di una sorta di alter ego del regista nel film, nei panni, in questo caso, di un sorpreso reporter alle prime armi.

Pablo Larraín non si dedica (tanto) alla riproposizione di filmati d’archivio, quanto alla loro ricostruzione.

È nei dettagli di questa scelta che lo spettatore può accedere a Maria in maniera sublime, attraverso quell’intimità tipica non solo del suo spettatore ma anche di chi, ancor più da vicino, comprendeva come il palco e la vita fossero, per lei, impossibili da scindere.

La lente dell’intimità è rappresentata dalla finzione come escamotage per restituire, ricostruendo fedelmente, quelle che sono le apparenze, specialmente su un piano visivo, della Callas, ma è invece rischiando, o tradendo metaforicamente i libretti per dar voce all’imperfezione, anche e soprattutto con i dialoghi, che il regista raggiunge lo spettatore – attraverso la sua evanescente figura, che appare e scompare all’interno della narrazione filmica – (come a dire questa è la mia visione della Callas, sto pigiando su rec come se stessi fingendo, ma qui vorrei anche raccontare quella visione che è emersa, al di fuori, dall’osservazione di Maria per poi essere elaborata da altri occhi).

  • Angelina Jolie abita il presente della Callas, la sua voce e il suo pensiero, il suo non accettare il compromesso, nell’Opera come nelle sue interviste, con continui affacci sul suo passato e sull’imminente futuro. Tutto questo a partire da una settimana dalla sua morte, avvenuta il 16 settembre 1977 nel suo appartamento di Parigi.
  • Al di là della somiglianza tra la sua interprete e la protagonista del film, quel che colpisce di Maria (2025) è in che modo questa essenza comune venga rappresentata, da principio – nel film, dal contemplabile connubio di una forma d’innata eleganza.

Dal dialogo tra sorelle, che vede coinvolta l’attrice Valeria Golino nei panni di Jackie, si lascia intendere invece allo spettatore come la scelta di mostrare l’iniziale incanto della favola tanto sfarzosa quanto decadente tra Onassis e Maria abbia, in realtà, come fine ultimo la sua, seppur dolorosa, messa in ridicolo, più che la sua romanticizzazione.

Ad affiancasi alla Divina, nel privato, ci sono Ferruccio Mazzadri, interpretato da Pierfrencesco Favino e Bruna Lupoli, alias Alba Rohrwacher. 

Queste due figure onnipresenti, che ruotano attorno a Maria nel racconto, sono le uniche a saper leggere tra le righe, ad ascoltarla e a salvarla, anche nei silenzi, nei momenti meno opportuni, e rappresentano, quindi, nella scomodità per le ossessioni della Divina, che è invece comodità per la solitudine di Maria, la sua famiglia.

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