Un film di Frank Capra
Questo film americano è il luminoso ritratto della simbologia morale del maschio capitalista. È l’eterna contesa tra il bene e il male, in un mondo dominato dalla materialità del denaro. È una forma di cinema caratterizzata dalla visione ottimistica della realtà, che rischia di perdere la sua credibilità con la vittoria schiacciante di figure come il signor Henry F. Potter (Lionel Barrymore), che sarebbe a dir poco riduttivo definirlo un antagonista fiabesco, piuttosto è quella controparte avida e spietata che fronteggia il sogno idealista di George Bailey (James Stewart) e aspira alla dimensione dell’incubo in un’America scossa dalla brutalità della guerra e dal desiderio di rinascita. Due singoli individui nati che si somigliano per il principio di autorealizzazione e differiscono per gli approcci valutativi sui mondi costruiti a loro immagine-somiglianza. Due punti di vista che si incontrano e si scontrano con i loro sguardi, le loro parole e le loro posizioni fotogeniche nei piani e nei campi cinematografici. La dicotomia vulnerabile tra realtà e sogno irrompe sulla scena con un accadimento a sfavore di George, il cui impegno morale come fondamento dell’esistenza rischia di perdere i suoi sforzi pluridecennali e la “Bailey Costruzioni e Mutui” precipiterà nelle grinfie della corruzione avversaria e della sconfitta individuale. Chi gli è attorno non riesce a comprendere la sua rabbia fino in fondo, neanche il corrispettivo femminile delle sue passioni e delle sue ambizioni, incarnato nel personaggio di Mary (Donna Reed). Subentra l’intervento divino, sotto forma di un angelo di seconda categoria, di nome Clarence (Henry Travers), che esaudisce un desiderio nutrito dalla concezione pessimistica del mondo e ritrova la sua validità capriana nel predicato che esprime il rapporto del singolo con gli altri membri di una collettività aggregata da fattori di diversa natura (politici, sociali, culturali e religiosi).
Come riporta Andrea Sani nel saggio “Film fantastici e mondi possibili” vede in Leibniz un plausibile parallelismo sulle sostanze individuali e sulle contingenze dei mondi paralleli:
«ogni sostanza è come un mondo intero e come uno specchio di Dio o piuttosto di tutto l’universo, che ciascuna di esse esprime nella sua particolare maniera, press’a poco come una sola e medesima città viene in modo diverso rappresentata a seconda delle differenti posizioni di chi la guarda» (Discorso di metafisica, p. 71)
E qui arriviamo a quel finale fortemente contestato nel periodo della sua uscita e nelle ritrasmissioni televisive degli anni successivi. I motivi prevalenti riguardano l’ottimismo utopico e il sentimentalismo paternalista come motivo di sopravvivenza contro un macchinario produttivo, predatore e fagocitante che oggi ha raggiunto una dimensione alienata e disumana e ha decretato un ritorno all’errore. Personalmente traduco la morale del film come un invito alla responsabilità etica del capitalismo in quanto sistema storicamente accettato dai cittadini di tutto il mondo e la capacità di adattarsi a quella “gabbia di ferro”, espressa sociologicamente da Max Weber, dovrebbe allontanarci dall’offuscamento di quelle illusioni che ci forgiamo addosso nella sfera dei bisogni e dei soddisfacimenti personali (mostrando un’incoerenza e un’ipocrisia nei nostri coinvolgimenti attivi), quindi limitati nell’istinto di autoconservazione e danneggianti nell’intersecazione complementare delle scelte e delle azioni. L’obiettivo da raggiungere è quella trasformazione progressiva al capitalismo e la poetica capriana suggerisce quell’obbedienza calvinista (quasi puritana), ipoteticamente prossima al suo stesso sfaldamento non appena si compie la responsabilizzazione del concetto completo.
L’oscillazione tra Bedford Falls e Pottersville è la necessità ipotetica leibniziana oppure l’idea utopica moriana (destinata al privilegio del racconto cinematografico e alla caducità della consistenza reale)?
Il Natale può essere il pretesto celebrativo per eccellenza per riflessioni di tale portata?
La vita è meravigliosa si aggiudica l’appellativo di CAPOLAVORO.
Lascia un commento