La fille de nulle part (2012) – il film di Jean-Claude Brisseau – abita una dimensione “altra”. Una dimensione in cui talvolta nulla sembra accadere.
Déjà-vu: (parentesi o mini rubrica di) film sconosciuti che ti sembrerà di aver già visto.
La fille de nulle part (2012) – o La ragazza dal nulla – è il penultimo lungometraggio di Jean-Claude Brisseau (Parigi, 1944-2019).
Jean Claude-Brisseau – insegnante, cinefilo e regista amatoriale scoperto da Éric Rohmer dopo la realizzazione della sua prima opera cinematografica, dal titolo La croisée des chemins (girato in Super 8 a metà degli anni Settanta).
Il film di Brisseau (La fille de nulle part) uscì in sala, in Francia, nel 2012, dopo la sua prima apparizione sul grande schermo al Locarno Film Festival, in occasione del quale, nello stesso anno, il regista ricevette il Pardo d’oro.
O mon Dieu, ouvre-moi les Portes de la Nuit, il film di Brisseau ha inizio con questa citazione di Victor Hugo, per poi guidare lo spettatore all’interno dell’appartamento di Michael Deviliers, che scopriremo essere interpretato dallo stesso Jean-Claude. L’appartamento parigino in cui si dispiega gran parte della narrazione filmica è, inoltre, il medesimo del regista.
L’inquadratura segue le parole del poeta francese – inserite nell’incipit del (primo) film (realizzato da Brisseau, in digitale) – mostrandoci la scrivania di Michael, mentre quest’ultimo sembra rileggere quanto appena trascritto a penna in un block notes. Accanto agli appunti di Michael (alias Jean-Claude) si notano, nel frattempo, le seguenti letture: Totem et Tabou di Freud, Le mythe de la naissance du héros di Otto Rank e Origine et fonction de la culture di Géza Róheim.
Michael avverte dei rumori di colluttazione che sembrano provenire dall’esterno del suo appartamento. Sul pianerottolo, tra una rampa di scale a l’altra, un uomo sta colpendo una ragazza accasciata sui gradini. Michael esce dalla porta di casa e assiste alla fuga dello sconosciuto che lo ha sentito arrivare.
La ragazza, che scopriremo chiamarsi Dora (Dorothée Thomé), è insanguinata e priva di sensi. Michael la solleva da terra per portarla in casa e allontanarla dal pericolo. Dora, dopo aver ripreso momentaneamente i sensi, farà giurare a Michael di non chiamare né la polizia né un medico. Ma lui, pur assecondando la richiesta della ragazza e lasciandola momentaneamente riposare sul suo divano, avvertirà quel che scopriremo essere un suo fidato amico, Denis, affinché possa medicarla e con cui possa inoltre condividere quanto di insolito accaduto poco prima sotto i suoi occhi.
Denis, prima di andar via, invita Michael a diffidare della ragazza e lo esorta ad avvertire le autorità per evitare che quest’ultima possa rivelarsi una malintenzionata libera di agire sotto il suo tetto e a scapito delle sue buone intenzioni. Michael, però, decide di non seguire i suoi consigli e di rispettare la scelta di Dora.
Il libro che vedremo stavolta al centro dell’inquadratura – come uno spartiacque – tra il risveglio di Dora e il primo vero dialogo tra lei e Michael sarà, invece, Rêve du mythe: ossia il primo volume delle opere complete di Karl Abraham.
La fille de nulle part mostra di avere una struttura circolare. Il film – infatti – si apre e si chiude mostrando allo spettatore un cielo stellato, probabilmente soltanto all’apparenza fittizio.
Il film di Jean-Claude Brisseau, inoltre – e probabilmente non a caso – abita una dimensione “altra”. Una dimensione in cui talvolta nulla sembra accadere, se non attraverso i dialoghi dei suoi personaggi, oppure in cui tutto sembra accadere in una dimensione alternativa che però si rivela, con naturalezza, allo spettatore attraverso i pensieri o le sensazioni di Dora e Michael. O ancora: attraverso le diversi manifestazioni del soprannaturale, tra rinnovamento e ispirazioni, che sembrano incarnarsi – di volta in volta – tanto nella presenza di Dora quanto in quella di Michael.
Quello di Jean-Claude Brisseau sembra essere: non solo un lavoro che ripercorre le sue tracce nella cinefilia (si pensi – in tal caso – alla citazione delle due gemelle in Shining (1980) di Stanley Kubrick), ma anche un prezioso e dialogante espediente per potersi addentrare nel meta-cinematografico, e nel meta-letterario, da diversi punti di vista.
Come quando: nel quadro filmico, in completa allusione allo schermo del computer di Michael, appare la seguente citazione di Vincent Van Gogh: // Sto bene nella vita e nella pittura, senza Dio. Ma io, soffrendo, non posso fare a meno di qualcosa che è più grande di me, che è la mia vita: il potere di creare.
Alcune musiche e ciascuno dei suoni fantastici presenti nel lungometraggio sono a cura dallo stesso Jean-Claude Brisseau. Al contempo, invece, tra le musiche scelte da una fonte esterna, dal regista, ascoltiamo – ad esempio, in prima battuta – il quarto movimento della Sinfonia n°5 di Mahler.
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