Il segreto di Liberato (2024) Un film di Francesco Lettieri

Il segreto di Liberato (2024)

Avatar Giada Ciliberto

Liberato, dopo aver “unito due mondi” ed essere riuscito a “colonizzarci”, ci ricorda – anche – che, in fondo, “un segreto ce l’hanno tutti” ed è proprio tale esplicitazione di questa (unica ed emotiva) ricerca della verità che riuscirebbe a farcelo sentire così vicino. 

Il film di Francesco Lettieri, Giorgio Testi, Giuseppe Squillaci e Lorenzo Ceccotti presenta al pubblico una figura evanescente, un personaggio misterioso, simile (come nella realtà dei suoi ascoltatori) a un supereroe. 

Nella prima fase del processo di realizzazione di questo documentario, che prende vita grazie a un atto collaborativo a 8 mani, il fatto di dare il giusto peso al “come” poter agire – nella finzione – si sarebbe rivelata la scelta più significativa per quest’opera. 

L’inizio di quest’esperienza, infatti, sarebbe stata vissuta più come un gioco che come una sfida, soprattutto per quel che riguarda la parte di animazione. 

L’idea di Liberato, di ricorrere all’animazione, ha permesso ai registi di svincolare da quelle che potrebbero essere definite le “parti canoniche” del documentario, per dedicarsi – invece – a quella che essi ora definiscono la sua parte “più interessante”. 

Il risultato finale “è stato”, dunque, tanto – il frutto di – “un insieme di coincidenze”, quanto un processo graduale di svelamento dell’importanza, per Liberato, del mito e della leggenda. 

Per Sara Paolella, ad esempio, si tratta – non a caso – della “riuscita del mito fondativo di Liberato”. 

Ne Il segreto di Liberato (2024) si parte da Napoli, dalla tradizione – quasi “come se ci fosse un terzo personaggio onnisciente” – e ciò avviene per aprire nuove domande. 

Similmente a come accade con le canzoni di Liberato, si parte dalla tradizione per poi (saper) rendere quest’ultima come qualcosa di contemporaneo e ciò grazie alla possibilità di accedervi tramite una visione nuova. 

Il napoletano, che “fino a poco tempo fa poteva apparire come qualcosa di superato”,  (come lingua, come in musica) si connette – qui – ai paesaggi (e alla fotografia) svelando agli occhi, non solo dello spettatore, ma anche di chi quest’opera l’ha realizzata, qualcosa di: “inimmaginabile”, e lo fa a partire dal dettaglio. 

L’implicita proposta di potersi dedicare (a partire da Napoli, e dagli occhi – su di essa – di Liberato) alla (sua) stratificazione culturale si rivela, per i suoi creatori, un “meraviglioso stimolo visivo”. Questo potenziale figurativo permette, quindi – attraverso la trasformazione della materia, e durante i (circa) 30 minuti d’animazione dell’intero docufilm – l’accesso a “mondi fantastici”.

L’origine fotografica della parte di animazione si lega inoltre al vantaggio di partire da una città definibile come un luogo – per eccellenza, fertile – di fantasia. La “profondità culturale e intellettuale di Liberato”, per i registi, infatti, non è casuale nella riuscita del film, e si è pedissequamente affiancata alla “capacità di riprendere questi archetipi e di trasfigurarli per dire qualcosa di nuovo”, di riuscire “a guardare da fuori” (anche Napoli stessa) per poter donare, infine – al suo spettatore, “una nuova lettura”.

Una combinazione che permette, in modo straordinario quanto inatteso, lo svelamento di un interno mondo a cui non si ha mai (avuto) accesso, che “non si vede”, poiché abituato a muoversi nell’anonimato. 

Al grande lavoro messo appunto da ciascuno dei suoi protagonisti – ad esempio, da una prospettiva sonora – si accompagna “l’epifania” vissuta dai suoi realizzatori nel seguire la tournée di Liberato in Europa: “siamo andanti sempre più vicino”. Un approccio, in questo caso, che potrebbe essere definito – come spiega uno dei registi – molto “simile a quello di un fan”, paragonandolo, ad esempio (nel processo metacinematografico all’epoca in corso), a quel piacere che si può avere nel leggere un libro, senza però voler conoscere nulla della biografia del suo autore. Nel potersi, quindi, identificare nell’artista pur senza sapere niente di lui. 

“È stato un percorso di vera scoperta” poiché si è “riusciti a dare forma a qualcosa che non ha una forma” grazie alla creazione del personaggio tramite il prezioso, ma per nulla scontato – nei suoi modi, escamotage di ricorrere all’animazione. La differente scelta di ricorrere a un attore, infatti, non solo non avrebbe potuto dare un simile “risultato”, ma non sarebbe stato possibile neppure da prendere in considerazione (per uscire dall’ordinario ed entrare nello straordinario). 

Solo la voce è quel che si conosce di Liberato, pertanto ciò pone l’accento sull’importanza della sua recitazione, quanto sulla possibilità di rendere visivamente una nota di profonda tenerezza (che già traspare dalla sua voce) attraverso la scelta di ricorrere, ad esempio, allo sfoggio di un ciuffo per nascondere il viso e poter naufragare, così, anche nel passato dell’artista. 

Ciascuna di queste scelte ha permesso di rendere filmicamente, nella creazione, una forma di “vicinanza emotiva” instauratasi con il personaggio di Liberato e connessa visivamente, ad esempio, al suo modo di comportarsi, nel documentario, alla sua postura “unica nel suo genere”, nell’animazione. 

Se, nella parte d’animazione del docufilm, i personaggi cambiano continuamente, e – ad esempio – nel caso di Sofia si assiste a un dispiego più veloce di tale cambiamento, poiché Sofia “brucia le tappe”, tale scelta si rivela fondamentale per mantenere costantemente la loro emotività in primo piano, agli occhi dello spettatore, rispetto agli elementi descrittivi (tipici del documentario). 

“Ogni blocco” (di racconto filmico) – arricchito, ad esempio, da oggetti che contribuiscono a nutrire la leggenda, oppure da “ogni cosa” che per Liberato è “un rito”, a cui accosta sempre “un particolare significato” – “è” anche e soprattutto ”un’emozione”. 

Liberato, nella parte di documentario che trascende l’animazione, è – invece – molto spesso inquadrato di spalle. In alcuni momenti appare nella folla. Ad un suo concerto, ad esempio, arriva a essere paradosso, arriva – volontariamente, e con un pizzico d’irresistibile ironia – a far parte del pubblico. 

«Se Liberato (allora) non è nessuno (allora) Liberato siamo tutti.»

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