Il film di Sarah Narducci, HO BALLATO DI TUTTO (2023), ricorda in che modo «l’amicizia femminile» possa spontaneamente essere (o essere vissuta) come una «storia d’amore».
Come può un film restituire l’atmosfera di un’amicizia che sia travolgente quanto una grande storia d’amore?
In un’atmosfera di festa, dapprima molto intima e poi con una graduale apertura su scala, che invita lo spettatore ad immergersi, fino al suo apice e poi in una costante discesa, in un flusso che potrebbe sembrare dal tipico imprinting sorrentiniano, Ho ballato di tutto
(2023) di Sarah Narducci – riecheggiando, per alcuni versi, anche un primo Özpetek – svela in che modo si possa festeggiare, in una decisiva circostanza, senza essere mai del tutto intenzionati a farlo.
Cosa hanno in comune il quadro di un gigantesco dinosauro e l’apparizione di un rettile, come sorpresa di un “terzo incomodo”, con Mara? Lea è l’unica a saperlo.
• Il grande rettile preistorico è forse una delle possibili metafore della loro conoscenza, del loro passato. Eppure se comprendere, o conoscere ciò che l’altro conosce, potrebbe essere la più alta forma d’amore, nella medesima similitudine – quel che definisce i bordi che separano un’amicizia da un comune rapporto di coppia potrebbe sfumare, divenendo illuminazione presente e ricordo lontano, in un’unica notte.
Mentre il rumore di una lavatrice malfunzionante consegna allo spettatore un aspetto tangibilmente precario della gioventù, le bolle della schiuma che fuoriescono dall’elettrodomestico, incorniciato dalle pareti di un appartamento ideale per due studentesse, filtrano attraverso la fessura delle porte concludendo un mai netto gioco di contrasti fra luci e ombre.
I movimenti di camera simulano movimenti interiori e creano, a partire da metà del film, nuova enfasi sul rapporto tra i personaggi. Una delle due protagoniste, nel buio e nel non-detto del salotto del loro appartamento trasformato dalla festa, conduce un inno alla libertà che sembra essere, mai come in quel momento, a senso unico, per poi essere improvvisamente immobilizzata da una luce calda e dall’apparizione di un drago barbuto al posto di un cane.
Omonimo di un brano di Paolo Conte e in cui la regista è anche sua co-protagonista, (dopo la visione) il film di Sarah Narducci, ricorda (a una spettatrice) in che modo «l’amicizia femminile» possa essere (o essere spontaneamente vissuta) come una «storia d’amore».
Facendo non esplicitamente riferimento a una possibile crisi dei 25 anni, l’attrice sceglie di girare in un teatro di posa e di inserire nella sua scenografia non solo La Danza di Herni Matisse, ma anche la sua potenziale antropomorfizzazione, lasciando che una delle sue co-protagoniste arrivi a interfacciarsi con quel lato di sé, pregno della sua stessa crisi, nelle bolle di sapone che arrivano a circondarla, dal basso, nella rivelazione di un nuovo quadro.
Per la regista la lavatrice è «simbolica» in relazione al suo desiderio di voler rappresentare «una casa di studentesse a pezzi», un momento di crisi che – agli occhi dello spettatore – è anche fortemente indicativo dell’essenza finora condivisa, e che è ora sul punto di scindersi, delle due protagoniste.
In Ho ballato di tutto (2023): L’azione si apre nell’appartamento di Lea e Mara, due studentesse che ora, dopo essere state a lungo coinquiline, sono in procinto di prepararsi a un’imminente separazione. La notte in cui si festeggerà la festa di compleanno di una delle due amiche diverrà l’iniziazione, dai dettagli simbolici, pungenti, e dalle tinte notturne, di una nuova fase della loro vita.
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