Dieci secondi (2024) Un film di Roberta Palmieri ospite di Chez Chuormo

Dieci secondi (2024)

Avatar Giada Ciliberto

Dieci Secondi (2024) restituisce «quel senso di spaesamento» che l’Uomo prova quando si trova ad essere «esposto all’aspetto terrificante della natura».

Lisa riesce ad arrivare soltanto fino a 6 secondi, poi la conta della bambina nella natura si interrompe per essere affiancata da una voce fuori campo. La voce, contenuta nelle registrazioni di una camcorder, viene infine sostituita dall’attesa di Lisa, durante la quale la bimba tenta invano di rompere il silenzio mentre è seduta a una tavola apparecchiata e provvisoriamente immacolata. 

Dieci Secondi (2024) restituisce «quel senso di spaesamento» che l’Uomo prova quando si trova ad essere «esposto all’aspetto terrificante della natura». 

Il film di Roberta Palmieri vede una genesi di cui «è sempre un po’ complicato parlare», difatti il corto stesso non è volontariamente esplicito, ed è anche per questo che arriva in maniera così forte allo spettatore. 

«Volevo ricostruire quest’esperienza di perdita che ho vissuto», spiega la regista, accennando poi all’inserimento delle chiamate d’emergenza – nel girato –  le cui suggestioni, che hanno portato a questa scelta, hanno al contempo fatto leva sulla sublimazione di una perdita improvvisa che dal singolo individuo coinvolge, proprio come una scossa, la collettività. 

Boato e fruscio diventano sinonimi durante la visione del film, interrompendo la ricerca, da un gioco ricorrente, identificabile nelle immagini catturate – in passato e ricostruite nel presente – con una camcorder dello stesso modello. La connessione con la natura devia, sull’orlo della sensibilità umana, in inquietudine in una maniera tanto sottile che si fa fatica a parlarne e che può essere accostata solamente alla fortuna e allo spavento, al contempo, che si può provare quando si assiste a un passaggio di daini nella natura sconfinata a tutta velocità. 

Le immagini della montagna, della vetta del Gran Sasso, allontanano lo spettatore – con una vertigine – dalla rassicurante parvenza dapprima donata da una casa immersa nella natura. Alla casa di famiglia si sostituisce un rifugio provvisorio, nel bosco, una casa di legno costruita con pochi rami verso il cielo. 

Nel frattempo al cielo stesso, come suggerisce uno spettatore, si accede anche dagli occhi di Lisa. Da «questa bambina che riflette il punto di vista del cielo». 

L’utilizzo dello zoom appare come un’ulteriore metafora del desiderio di vicinanza quando questa vicinanza appartiene, seppur soltanto nella prossimità fisica, ormai a un tempo passato. Quella voce, infatti, che invita la bambina a guardare verso l’alto per non affogare, che dice: «guarda l’uccellino», ritorna, grazie all’audio custodito nelle registrazioni della camcorder. «Dove siete?», invece è la voce di Lisa nel presente, nel girato, fisicamente, è il piatto che si frantuma. 

«Per le riprese», continua la regista, «è stato utilizzato lo stesso modello della camera – 8mm – per ricostruire l’immaginario di quel periodo». «La scelta della voce fuori campo del padre […] ti fa pensare a quegli anni là», è la ricostruzione dell’immaginario «che nelle costruzione si è rivelata utile a livello emotivo.»

Il film – simbolicamente ambientato nell’aprile del 2006 – è stato girato all’interno di una storica riserva naturale di daini e la casa che appare nelle riprese affacciava su questa riserva. 

Un’interessante attenzione alle differenze generazionali si evince infine dall’utilizzo o meno del dialetto dei tre personaggi. La nonna di Lisa (Elisa Ratenni) «lo parla», il papà (Stefano Doschi) lo parla per metà, e Lisa (Melissa Falasconi), invece, che è del tutto parte di un’altra generazione, non lo parla affatto. 

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