Un film di Gints Zilbalodis
Questo film d’animazione indipendente è frutto di un’opera di rimediazione, con uno storyboard appositamente realizzato secondo la modalità videoludica dell’avventura dinamica, come ci ricorda Stray (2022), anch’esso di produzione e di sviluppo francese, in cui il platforming ci offre un’esperienza focalizzata sulla narrazione e sull’estensione spaziale degli open world.
Se nella maggior parte dei casi è il videogame a rimediare il cinema e incorporare la sua figura linguistica di base, in Flow accade il contrario. La direzione artistica di Léo Silly-Pélissier si incentra sul desiderio di raggiungere il fotorealismo dei paesaggi naturalistici e il linguaggio cinematografico in movimento si incastra con l’intermezzo (o cutscene), vale a dire l’unica fase non interattiva che vede il fruitore in qualità di spettatore, non di giocatore.
Esso comprende tutta la durata del lungometraggio e l’utente ha una libertà limitata d’azione e non può procedere alle fasi giocabili, esistenti esclusivamente nella manipolazione dell’interfaccia grafica.
Flow mostra sin da subito la sua posizione politica attraverso uno sguardo attento ai temi ecologici, ai fenomeni naturali e alle discrepanze cooperative e comunitarie all’interno (non tra) delle singole specie animali, agganciandosi al discorso naturale e culturale de Il Robot Selvaggio della Dreaworks Animation.
Entrambi i film rispecchiano una relazione ambientale orientata verso il futuro delle conseguenze catastrofiche derivanti da fattori umani. L’incombere della minaccia non sembra più un’ipotesi remota e il nostro grado di comprensione richiede un processo introiettivo non indifferente. L’acqua riveste un ruolo drammaturgico, affiancandosi alla poetica personale di Peter Sohn con “Il viaggio di Arlo” e “Elemental” per simboleggiare la paura.
La prima inquadratura riprende un solo animale, un gatto nero, che osserva il suo riflesso in una pozzanghera d’acqua, elemento cruciale non solo per la sommersione di un mondo dedito alla sopravvivenza, ma anche per la sua funzionalità psichica di materia specchiale.
All’inizio la sua evocazione iconografica racchiude un’inclinazione narcisistica e individualista. Man mano che il panta rei acquoreo ed eracliteo dirige una crescita spirituale degli animali, abbandonati alla loro solitudine specista e bisognosi di una nuova reintegrazione, si percepisce un invito a vedere la sua superficie e ad attuare il suo attraversamento, concretizzato in quella che si può definire un’apertura solidale e comunitaria.
Significativo è anche la preservazione oggettistica del lemure, uno dei tanti naufraghi e compagni di viaggio, che perde il suo stato di sicurezza nel momento della rottura di uno specchietto.
Vedendo il suo riflesso spezzato, il lemure prende consapevolezza di questo ingranaggio rivelatore della narrazione. Ecco la trasmutazione degli animali in questa favola ecologica, che mostra uno scenario futuro in cui adattarsi e si distanzia dal principio di autodistruzione dell’uomo.
“Glielo leggiamo in faccia, mentre si guarda nello specchio rotto. Era un modo elegante per aprirgli gli occhi. […] Lo specchietto ci permetteva di dire tutto con una sola immagine.” (dichiarazione di Billy Wilder riguardo l’espediente dello specchietto ne “L’appartamento”).
Lascia un commento